Ho sempre ammirato in Dalì la sua immaginazione scatenata, quell’andare oltre la realtà, fluire in altri mondi, sondare i limiti della psiche e creare un universo suo con coraggio, senza vergogna.
Lo amai subito perché anch’io ero portata a uscire dai limiti, scoprire fantasmi e visioni dentro di me.
All’Istituto d’Arte di Pietrasanta ricopiavo a carboncino i calchi delle statue in gesso per imparare a disegnare, però ero insofferente, quel mondo accademico era utile ma non piacevole, volevo buttare fuori il mio mondo: quegli esseri strani senza volto, senza gambe né mani. Di nascosto, li disegnavo poi li strappavo vergognandomi come fosse peccato farli.
Dalì, con la sua strafottenza di fronte alla vita, mi ha dato il coraggio di osare e ho osato. Amo tutti i surrealisti, ma non mi identifico appieno con loro. Amo il senso mistico, profondo, simbolico che fa parte di me, ma al contrario amo anche la razionalità. Volo nell’ignoto, ma resto attaccata alla terra. La fantasia fa i suoi voli, non la trattengo, ma la logica mi riporta sulla terra.
Cammino con due piedi: l’immaginazione e la ragione, essenziali entrambi all’essere umano come il cuore e la mente. La mente da sola sarebbe troppo fredda, il cuore troppo caldo e dispersivo, ma al nostro io non manca altro che armonizzarli con una volontà incarnata dall’amore, anche se ciò per un essere umano è una bella lotta.
Grazie Maestro Dalì, mi hai insegnato tanto. Amo in te quel senso teatrale e la maschera che hai assunto per celarti al mondo e impressionarlo.