La voce è di donna, la penna che la libera, invece, è quella di un uomo.
Sono otto anni che aspettavo, pazientemente. Dio mio, capivo bene da sola che le cose meravigliose non avvengono ogni giorno. Ma quando poi la rovina è precipitata su di me, fui assolutamente certa che la cosa meravigliosa sarebbe accaduta.
Mentre la lettera di Krogstad aspettava lì fuori, non mi passò per la mente che tu ti saresti piegato alle condizioni di quell’uomo. Ero così assolutamente certa che gli avresti detto: faccia pure conoscere la cosa a tutto il mondo. E quando lo avesse fatto, tu ti saresti fatto avanti, non ne dubitavo, e ti saresti assunto ogni responsabilità dichiarando: il colpevole sono io!
Era questa la cosa meravigliosa che speravo, anche se avevo tanta paura. Ed era per impedire una cosa simile che volevo togliermi la vita.
Ma tu non pensi nè parli come l’uomo a cui potrei rimanere vicina. Passato il tuo spavento… non per quello che minacciava me, ma per quello a cui eri esposto tu stesso, una volta passato il pericolo, per te è stato come se non fosse successo niente. Ero la tua lodoletta, tale e quale come prima, la tua bambola che avresti dovuto custodire con ancora più cura per il futuro, dato che era così sventata e così fragile.
Torvald… in quel momento vidi con chiarezza che per otto anni avevo vissuto insieme ad un estraneo, e che avevo avuto dei bambini…Oh, non posso pensarci! Potrei stritolarmi, farmi a pezzi da sola!
Così come sono adesso non posso essere una moglie adatta per te.
Il monologo di Nora da “Casa di Bambola”, di Henrik Ibsen