Tre indizi: San Pietroburgo. Un omicidio. Un autore che amava narrare della povera gente.

Così egli si tormentava, assillandosi con tali domande e
trovandovi perfino una specie di voluttà. Del resto, tutte quelle
domande non erano nuove, improvvise, ma vecchie e dolenti.
Già da un pezzo avevano cominciato a tormentarlo e a
dilaniargli il cuore. Da moltissimo tempo era germinata in lui
tutta la tristezza che sentiva adesso, era cresciuta
accumulandosi, e negli ultimi tempi era maturata,
concentrandosi e assumendo l’aspetto di un orrendo, crudele e
fantastico problema, che torturava a fondo il suo cuore e il suo
cervello ed esigeva una soluzione. Adesso, poi, la lettera di sua
madre lo aveva colpito come un fulmine. Era evidente che non
era più possibile, ormai, torturarsi e soffrire passivamente,
accontentandosi solo di riflettere sull’insolubilità dei problemi,
ma occorreva assolutamente fare qualcosa, e subito, al più
presto. Occorreva ad ogni costo decidersi a far qualcosa,
oppure…
«Oppure, rinunciare addirittura alla vita!» esclamò ad un tratto
al colmo dell’esaltazione. «Piegarsi docilmente alla sorte così
com’è, una volta per tutte, soffocando ogni cosa dentro di sé,
rinunciando ad ogni diritto ad agire, a vivere e ad amare!»

Da “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij

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