Triestino, jesolano d’adozione. Sessantottino della peggiore specie. Poca voglia di studiare e poca di fare. Un unico entusiasmo, in gioventù, il lavoro al Gazzettino di Venezia. Maestri di nera, di bianca e di sport Delfo Utimpergher, Giovanni Bonzio, Tino Corradini e Giorgio Lago. Un periodo di scoperte. Come quello passato nella Galleria d’Arte di Papà e Mamma, con un via vai di artisti affascinanti: Virgilio Guidi, Riccardo Licata, Gustavo Boldrini, Giovanni Pontini. Di sicuro ho imparato ad attaccare quadri alle pareti, e vi assicuro che ci vuole una certa predisposizione. Dieci anni alle Canarie, trenta in Friuli, qualcuno speso tra Firenze e Capo d’Orlando e Belluno (vicinissimo alla birreria Pedavena). Ho visto abbastanza per raccontare un sacco di storie di donne, uomini, gatti e cani. Ahhh, se solo sapessi scrivere…

Due luglio millenovecentosessantuno

Il Christiania restaurant, a Ketchum, Idaho, ha un sacco di tavoli rotondi e uno di essi è
proprio sotto un lampadario in ferro battuto di stile moderno. E’ l’unico occupato. Tutti gli
altri, pronti, hanno una mise en place elegante, alla francese: tovaglie bianche di lino,
come i tovaglioli. I posti sono segnati da posate d’argento, importanti pesanti lucidissime,
che forse sono state ripassate in acqua e aceto. Anche il tavolo occupato è preparato.
Cinque i posti, ma solo tre persone sono sedute. Forse aspettano qualcuno. Ernest, lo
scrittore, Mary, sua moglie, ed il loro comune amico George sono seduti lì da
sessant’anni, giorno più, giorno meno. Ci sono arrivati nel 1961 un primo di luglio, un
sabato sera. Ancora oggi la tovaglia è immacolata, nonostante le bottiglie di vino che si
sono succedute negli anni. Tante bottiglie, forse troppe, che per tre generazioni i camerieri
hanno portato stappato servito in continuazione. Sono le otto di sera di quel primo giorno
di luglio, Ernest non è nervoso, ma stanco.
-Domani sarà un giorno difficile, e quello che faremo domani condizionerà tutti i nostri altri
giorni futuri- disse -Voglio andare a dormire presto, sbrighiamoci con questo vino,
dobbiamo finirlo.
-Non possiamo andare- Rispose Mary -Aspettiamo Gianfranco ed un altro partigiano
italiano, quello che si chiama Naviga.
-Gianfranco non verrà-. Ribattè brusco lo scrittore -E’ impossibile, è in Italia, a Latisana
ed a menochè non nuoti lungo il Tagliamento fino al mare, non ce la farà mai.
Mary gli sorrise, gli prese la mano, rivolse un cenno d’intesa a George, poi diresse lo
sguardo a quella montagna di suo marito e vide che aveva gli occhi umidi, ma lo stesso
volle dirgli la verità:
-Aspetta i ragazzi, Ernie. Domattina mi ruberai le chiavi della rastrelliera dei fucili e ti
sparerai, e non potrai vederli. Aspetta, calmati. Gianfranco verrà per il tuo funerale di
mercoledì e dormirà in camera tua così, come se fossi tu.
-Verrà anche “Naviga” al mio funerale?
-No amore, non verrà.
-Ma gli devo parlare, è un partigiano, non lo sai che i partigiani hanno combattuto per la
libertà di leggere il mio romanzo censurato dal fascismo? Lo sai che hanno combattuto per
me? Ora vai, fatti accompagnare a casa da George, io resto ad aspettarli. Sù, andate. Io
cerco di arrivare abbastanza in fretta. Ho da fare.

E’ mattina, non sono ancora le sette. Mary sente dei rumori per casa, non si preoccupa.
Ernest si sveglia sempre presto, per scrivere, “nell’ora in cui la povera gente, i soldati e i
marinai si svegliano di abitudine” poi sente lo sparo ed il cuore le arriva proprio dentro la
gola, sa bene cosa sia successo: suo marito si è fatto saltare il cranio.
Dopo essersi sparato Ernest riafferra il fucile, che era finito sul pavimento, lo imbraccia
con cura e si guarda, malizioso, allo specchio. Poi gira il capo e vede il soffitto macchiato
del suo sangue e dei frammenti di ossa e carne e materia schizzati dappertutto, come in
uno dei quadri di Pollock, ma con l’azione dettata dalle cartucce, anzichè dal pennello, e
con la furia dettata dalla depressione e dalla passione per i drink. Posa allora il fucile, si
pulisce il viso con uno straccio preso dalla credenza e si avvia verso l’uscita di casa.
Arriveranno i poliziotti, gli infermieri, i giornalisti, i curiosi. -Troppo- pensò -davvero
troppo. Tornerò al Christiania, ora ho tempo, tutto il tempo, e potrò chiedere zuppa di
cipolle e quello strano carpaccio, mentre aspetto i ragazzi. Arriverà Gianfranco per il mio
funerale e quell’altro partigiano che ancora non conosco, ma so che è coraggioso.
Sono adesso le sette e mezza del mattino di domenica due luglio del 1961 ed Ernest è
andato, per sempre. Il suo corpo giace. Tempo un’ora tutto il mondo piangerà quel
ragazzone americano, mentre lui è al tavolo dell’ultimo ristorante della sua vita. Mangia e
aspetta, beve e aspetta. Il vino è un Pinot grigio, quello delle terre da lui più amate, le
venete. Il ristorante è francese, sono aperti solo per lui, nonostante l’ora, maledettamente
mattutina, come facevano a Torcello, quando scriveva di Renata ed era felice con Mary, in
compagnia del Valpolicella, il vino più struggente che avesse mai bevuto.

Anche Mary ha lasciato la casa, dopo aver dato l’allarme, ed ha raggiunto mr. Papa. Ora
trattiene le lacrime, ma è difficile, anche George è al tavolo, anche lui ha gli occhi umidi,
stanno per scoppiare. Ha saputo ed è corso subito.
Alzò gli occhi e vide un uomo bellissimo, giovane, fiero che gli veniva incontro. Seppe
da subito chi era. Si alzò, in tutta la sua antica possanza, gonfiò il petto ed allargò le
braccia come ad accoglierlo, anche se era ancora a qualche metro di distanza.
-Sei Naviga, sei solo?- chiese.
-Si, sono io Maestro.
-Sei di Torino, allora. Non mi piace quella città: il suo giornale, la Stampa, non mi ama,
dice di me che sono un gaglioffo e che solo scrivo di puttane e toreri, ma non è vero, vieni.
Scrivo anche di vino, siediti.
Versò del vino nel calice dell’ ospite, il suo era era ancora mezzo pieno, li prese entrambi,
mimò il cin cin con le due mani e poi gli allungò il bicchiere. Versò anche a Mary e George,
poi bevve dal suo tutto d’un fiato. Osservò l’italiano. Era come se lo aspettava, un
guerriero, un uomo onesto, un partigiano. Si fissò sul suo naso, affilato come una sciabola,
la fronte alta e sincera.
L’italiano ricambiò lo sguardo. Gli occhi non gli sembrarono vecchi, come quelli del suo
famoso pescatore cubano e si accorse che “tutto il lui era vecchio tranne gli occhi allegri
ed indomiti”.

-Perchè questo nome di battaglia? Perchè “Naviga”? Parlami dei fascisti, raccontami. Ma
prima dimmi, come mai sei solo? Gianfranco perchè non ti ha accompagnato?- chiese
mentre finiva il vino dal bicchiere di sua moglie. Se ne versò ancora, anche lei.. Era
stanco, aveva dormito poco e quello dello sparpagliarsi il cervello sul soffitto lo aveva
affaticato parecchio, ma fissò curioso il partigiano piemontese, quasi scavandogli l’anima
in attesa di risposte.

Francesco, che tutti chiamavano “Ceschino”, prese il tovagliolo, si pulì le labbra, lo ripose,
ben piegato, appoggiandolo tra le posate da dessert messe in orizzontale davanti a lui ed
il piatto. Girò la testa accompagnandola col busto a guardare Mary che annuì, quasi ad
autorizzarlo a dire la verità, guardò George che, però, teneva la testa tra le mani, il capo
chino, gli occhi bassi, spostò i bicchieri che aveva di fronte, quasi a sgomberare il campo,
e si fissò infine sullo scrittore:
-Maestro, Gianfranco è ancora nella sua casa, quella sulla collina da dove lei guardava
sempre il cimitero dalla finestra. E’ arrivato con me, ma non riesce a muoversi. E’
impaurito da quello che è successo, neanche quando era nella brigata Osoppo, partigiano
pure lui, è mai stato tanto preoccupato. La sta piangendo ancora un po’, ma arriverà
presto, a minuti. Prima deve chiamare sua sorella, poi verrà a cenare, come al Gritti.
Proprio così mi ha detto: – Cenerò ancora con lui, come al Gritti, a Venezia, come la prima
voltaLo scrittore, sente “Gritti” e si alza, si dirige verso il bagno, sta male. E’ lo stomaco che si
ribella, non alla parola “Gritti”, non alla luce umida di Venezia, ma a se stesso. Acidità,
acidità acidità… beve dell’acqua usando le mani, se le passa sugli occhi e sul viso e torna
al tavolo. Mary sta ancora piangendo, George sta ancora piangendo.
-Mary- disse lo scrittore -come ti senti?
-Disperata- rispose -Ero sotto chock, ma per fortuna Chuck è venuto di corsa, è
venuto…mi ha accompagnato all’ospedale per un sedativo e poi qui. Ora è tornato a casa,
si sta occupando del comunicato stampa, ha già avvisato i tuoi figli e tua sorella. Ho
accordato con il procuratore e con Frank, lo sceriffo, e anche con Jack… ti ho detto che
tuo figlio è qui?, che già che non ci sono testimoni, che non hai lasciato, maledetto
testone, neanche un biglietto, che non si farà nessuna indagine, non avrebbe senso. Un
colpo di fucile ti ha ucciso, non sapremo mai se per incidente o cosa.
Naviga prende la mano a Mary, quasi ad aiutarla a non affogarsi nelle parole. Ernest lo
guarda fisso negli occhi:
-Aspetto ancora di sapere di te, partigiano. Perchè Naviga?
-Per la mie fantasie di mare, per la divisa, per la voglia di libertà
-Giusto. Devi averne avuto un sacco di voglia per combattere quei dannati fascisti. Allora
non hai avuto paura che ti ammazzassero, bravo.
-Morirò quando dovrà essere, maestro, non mi voglio preoccupare.
-Io invece la morte l’ho braccata e finalmente l’ho trovata, ma è stata una sfida durata anni.
Proprio oggi si è conclusa- Che ora è?- continuò l’americano -A quest’ora tua figlia
dovrebbe essere già nata, come sta? E la madre?
-Vengo proprio da lì, adesso. Uscito dall’Ospedale invece della via Napione, proprio dietro
al lungo Po ho trovato il piazzale di questo ristorante e sono entrato. Sapevo che avrei
dovuto.
-Giusto, ma ora torna. Vai dalla tua famiglia. Una figlia ha bisogno di un padre. Insegnale
ad accarezzare i cani, diventerà una brava figlia. Ora arriverà Gianfranco, staremo un po’
insieme, poi lui andrà sulla sponda destra del Tagliamento, dove ha la tenuta, proprio di
fronte a Latisana, si lascerà morire e tornerà qui e staremo tutti insieme per sempre,
preoccupandoci di non macchiare questa bella tovaglia bianca. La mia tomba rimarrà in
buone mani: la bellissima Nanda ci reciterà un po’ di Padre Nostro ed il mio amico coyote,
quello dalla lunga coda grigia, la sorveglierà.
FINE

NOTE
Ad una prima lettura potrebbe sembrare un racconto di fantasia. Non lo è, almeno nelle
intenzioni. Non lo è perchè un dialogo tra partigiani antifascisti (Naviga in Piemonte e
Hemingway in Spagna) può essere definito sempre reale, indipendentemente dai
protagonisti.
E’ forse un racconto che va oltre la realtà comunemente accettata, quella del tempo e
della cronologia. Il tentativo è però quello di dimostrare che non esiste nè passato, nè
futuro, ma che il nostro è un vivere al presente, immutabile nelle storie e nei luoghi. In
caso contrario possiamo dire che dovesse proprio esistere il futuro sarebbe nel paradiso,
un luogo pieno di tovaglie bianche, immacolate, e gente coraggiosa, immacolata.
.
1) Gianfranco è Gianfranco Ivancich, nobile veneziano, famiglia di armatori dalmati. E’ il
fratello della ultima musa di E.H., Adriana, che gli raccontò delle storie di Gianfranco,
prima in Africa agli ordini di Rommel e poi partigiano in Friuli nella brigata Osoppo.
Oltretutto Gianfranco fu ferito, come lo stesso Hemingway, ad una gamba. L’americano
quasi impose ad Adriana di presentargli il fratello. Si incontrarono al Bar del Gritti a
Venezia (la famiglia di Gianfranco fu proprietaria dello stabile dove ha sede l’Hotel)
scoppiò una amicizia indissolubile nonostante i venti anni di differenza tra i due.
Gianfranco effettivamente fu ai funerali di Ernest, unico italiano. Mary lo fece
soggiornare nella stessa camera del suo amico, sapendo che sarebbe stata approvata
in cielo. Gianfranco è morto, penso novantenne, qualche anno fa, nella tenuta agricola
di famiglia, a San Michele (VE) sulle sponde del Tagliamento a qualche chilometro
dalla foce e da Lignano e Bibione.
2) Mary Welsh è naturalmente la quarta moglie
3) George Brown è un vecchio amico e fece da autista a E.H. e sua moglie nell’ultimo
viaggio che li portò dalla clinica a casa. Partirono il 26 giugno ed arrivarono venerdì 30
giugno. La sera del 1 luglio cenavano a Christiania (che ancora oggi è aperto e si vanta
che Hemingway avesse lì un tavolo sempre riservato). Togliendo otto ore di fuso da
Torino a Ketchum si potrebbe anche calcolare che Alba Parietti sia nata mentre loro
cenavano. Frank Hewitt è lo sceriffo
4) Chuck Atkinson è un altro grande amico di H.E.
5) Naviga è Francesco Parietti, partigiano, ma soprattutto antifascista. Padre di una
donna di carattere (Alba Parietti) e marito di sua madre, Grazia Dipietromaria, scrittrice
dal nome sinfonico.
6) Alla fine del racconto è citata Fernanda Pivano (chi non sappia chi sia non legga
queste righe). Prega, come effettivamente fece, sulla tomba di Mr Papa, inviata
speciale dal Corriere della Sera. “Nanda” pregava e vide: “Mentre recitavo il Pater
Noster è comparso un animale bianco-grigio bellissimo, con una grossa coda più lunga
del corpo, ha rasentato la barriera di rete metallica che divide il cimitero dalla
campagna, l’ ha scavalcato con un balzo, è entrato correndo nel prato e ha fatto il giro
della tomba. Era un coyote, l’ animale tanto amato da Hemingway; e l’ indomani alla
stessa ora l’ ho visto dalla mia finestra ritornare indisturbato a salutare la tomba cara a
tanti di noi”

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