Quando vedo quei corpi scavati dalla fame e quegli occhi senza luce dei deportati nei campi di concentramento, la sofferenza che provo è troppo grande. Fuggo da quelle immagini tremende.
Mi accorgo che non sento odio né rabbia, ma impotenza di fronte a quello che è accaduto nell’indifferente silenzio del mondo. Non ne trovo il senso.
Perché?
Quegli occhi privati di speranza e di umanità per me sono tanto forti e presenti da farmi un male tremendo, per questo non riesco a parlarne.
Ho realizzato questa opera “L’Albero dei disperati”, volutamente buia, monocolore e tetra come l’anima di chi ha perso la luce, per esprimere quello che sento. Quelle foglioline verdi che vedete, piccole e rade, unica nota di colore del dipinto, esprimono una minima speranza che resta nell’animo umano in ogni condizione di vita.
Finisco invitando noi tutti a cercare di capire perché tutto questo sia accaduto. Per non ripetere l’errore, che non pesa sulla coscienza di una sola persona, ma su noi tutti.
Il maestro d’orchestra, la sinfonia non se la suona da solo. Tutt’oggi sono i pregiudizi e i razzismi condivisi che opprimono e uccidono esseri umani.
Pensateci. Il mondo è disseminato di piccoli campi di concentramento e non ce ne accorgiamo. L’Inferno non è l’ombra della luce, ma lo spazio dove la pazzia allucinata e fredda crea mostri.
Meglio amare o odiare che essere anime vuote.
La Tati