Un giorno, nel Museo degli Uffizi, di fronte alla “Primavera” del Botticelli il mio amico Alessandro – storico e studioso di Firenze e del Rinascimento – mi fece notare che il quadro aveva una prospettiva non vera.

Già Leonardo da Vinci nel suo “ Codice Atlantico” metteva in luce questa verità: il quadro ha solo un punto di fuga in centro, all’orizzonte. Volutamente il Botticelli voleva far capire all’osservatore che i personaggi del quadro non si riferivano a una realtà materiale, ma appartenevano al mondo delle idee. Anche le figure paiono sospese nell’aria, i loro piedi non schiacciano i fili d’erba, sono eteree. Non vi è luce solare, non ci sono ombre, le figure emanano una luce propria. Anche il tempo è contratto perché in mezzo agli alberi di arancio ci sono fiori e frutti ad un tempo, cosa che in natura non avviene: prima i fiori, poi i frutti. Botticelli ci vuol far capire che la scena si svolge in un mondo ideale e senza tempo.

Alessandro, poi, mi ha fatto notare che il volto della fanciulla centrale è asimmetrico perché gli occhi non sono allineati, uno è leggermente più su. Come mai? Se tagliamo il volto in due metà, verticalmente, osserviamo prima una metà, poi l’altra: risulteranno due volti diversi, come fossero due fanciulle diverse. Anche questo mi ha fatto riflettere.

Forse il Botticelli voleva evidenziare il dualismo che esiste in ognuno di noi: a volte siamo angeli, a volte demoni, sempre in bilico tra materia e spirito. La fanciulla però alza la mano verso il dio Mercurio, portatore di sapienza e di intelligenza, un dio immortale. Lui non la guarda, le gira le spalle ma le indica la strada con il dito in alto, come per dirle: “Vieni con me nel cielo e cambia la tua natura da mortale a immortale, altrimenti il matrimonio non lo potremo fare.”

Lei vuole l’eternità col dio. Questo anelito che cresce dentro di lei smuove il vento impetuoso del “divino furore” personificato da Zefiro che scaturisce da alberi di alloro, simbolo della poesia. Questo vento ispiratore la riempie e vomita parole di poesia come fiori per cantare il suo amore. Lei non vorrebbe mai smettere di parlare di lui, è totalmente invasa: la sua testa, il suo collo, il suo grembo sono colmi di parole e lui, come un seminatore, spande intorno a sé le sue frasi d’amore come petali al vento.

Cupido con la sua faccia di fuoco colpisce la sua intima natura fatta di istinti, sentimenti e pensieri che si legano insieme a un volere comune, la volontà, di volere l’eternità con il dio. Istinti, sentimenti e mente così uniti danzano puri come le grazie che alzano le braccia al cielo facendo il simbolo del “delta” greco, che è infatti il simbolo di Dio.

Il quadro rappresenta dunque per esteso anche il viaggio iniziatico che molte anime hanno intrapreso: è il viaggio di Dante, di Ulisse, di altri, di quando un’anima viene presa da quel dolce e doloroso struggimento che avvince di fronte alle cose belle, n è il richiamo di una verità ultraterrena che inconsciamente ami attraverso le creature e la natura. Se si desidera un corpo vuol dire che c’è un’attrazione fisica: chi desidera Dio nella bellezza di un corpo, riesce a vederlo. Nella propria sensualità, insieme alla creatura si ama il Creatore e quell’amore diviene struggente, sacro. Solo allora ci ricolleghiamo a noi stessi pur perdendoci al mondo.

Non c’è amore più bello di questo! Dante, Petrarca e altri l’hanno sentito, la poesia li ha riempiti e Botticelli con forme e colori ha colto l’attimo della bellezza pura e ne ha fatto una foto eterna nella sua “Primavera”.

/ Tatiana Levi

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