Un palcoscenico, mille domande sulla vita: sono passati seicento anni eppure sono le stesse che ci facciamo oggi.

“Siamo in un mondo così strano che vivere non è che sognare, e l’esperienza m’insegna che l’uomo che vive sogna quello ch’egli è, sino al risveglio. Sogna il Re d’essere il Re, e vive in quest’inganno, comandando, disponendo, governando, e quel vano plauso ch’egli riceve, lo scrive sul vento, ed in cenere lo converte la morte… e v’è chi vuole regnare, sapendo che dovrà svegliarsi nel sonno della morte. Sogna il ricco la sua ricchezza che gli dà tanti affanni, sogna il povero che soffre la sua miseria e la sua povertà, sogna quegli che comincia a prosperare, sogna quegli che cerca e s’affanna, sogna quegli che oltraggia. ed offende; e nel mondo, in conclusione, sognan tutti quel che sono, sebben nessuno l’intenda.
Cos’è la vita? Delirio. Cos’è la vita? Illusione, appena chimera ed ombra, e il massimo bene è un nulla, ché tutta la vita è un sogno, e i sogni, sogni sono.”
Questo monologo, così ricercato nello stile e nel ragionamento, toccante nel suo senso profondo, è tratto dal dramma seicentesco “La vita è sogno” ed è recitato da Sigismondo, il protagonista che, annichilito, deplora l’inutilità e l’assurdità della vita.
Calderòn è stato uno dei primi Maestri – maestro del teatro e del pensiero – la cui arte ho appreso negli anni di studio all’Accademia di Belle Arti di Firenze.