Oggi vorrei ricordare un artista viareggino a cui tengo molto: Lorenzo Viani. Lo presento con le sue stesse parole che rendono perfettamente l’idea della sua arte: “Questa arte è cominciata con lo studio degli animali utili all’uomo: il bue e l’asino che in una stalla riscaldarono nostro Signore, e termina con una deposizione dalla croce. Dal presepe al Golgota s’addensa una moltitudine che sale sul Calvario senza la luce della divinazione.”

Sulle tele di Viani fioriscono personaggi di quel mondo che lui ha sempre tenuto nel cuore fin da bambino, che incarnano e descrivono la miseria e l’anarchia. Si animano così e salgono sulla scena le scarne figure dai piedi elefantini, donne dai seni cadenti che tirano dietro a fatica il peso della loro gravidanza, una folla di gente sperduta e rincorsa dalla miseria e dalla tragedia.

Viani  non ha inventato i suoi eroi, ma li ha conosciuti realmente, con loro ha sofferto freddo e fame, con loro ha dormito lungo i fossati. Li ama e li usa come bandiera contro il mondo cattivo e indifferente. Fu per il significato della sua arte che Viani non ebbe fortuna critica nel suo tempo. Lui non si scompose ma reagì: “I ranocchi non li chiamo rospi perché il loro veleno è soltanto bava sudicia e innocua.”

Ci fu chi lo apprezzò a suo tempo.

Gabriele D’Annunzio, mirando le sue opere, le definì di “Mistica forza”; Grazia Deledda: “Delinquenza mistica”; Leonardo Bistolfi: “Impronte terribili”; Umberto Boccioni: “Fede incrollabile.”

Viani seppe guardare  dentro di sé e scoprì un poeta che narrava  una turba di gente annichilita dal dolore, senza speranza. Sofferenza fatta abitudine. 

Alcuni  scambiarono il Viani per uno stravagante, uno che dipingeva per stupire. No, lui dipingeva quello che sentiva nell’anima.

I quadri “Benedizione dei morti del mare” e “ Consuetudine” sono la testimonianza vera dell’amore verso il mare. Con i marinai abitò nella vecchia Darsena di Viareggio, con loro soffrì per le ripetute tragedie.

“Il mio mare è quello che sa di pesce, d’aringhe, di musciame, di tonnino, il mare che frange tra le rive mutulente, mare torbato dagli spurghi delle fiumane” e ancora “Gli uomini in questi dipinti sono quelli della paranza con busti salcigni, di fuori cotti dal salmastro, di dentro cotti dalla crepa, una miscela di zucchero scuro e vino, cancarone. Gente che giura nella tempesta e spergiura alla taverna.”

Viani amò quella folla come solo sa fare un poeta. Anche se il suo mondo è così distante dal mio, lo capisco. Lui per far conoscere al mondo quei derelitti umani ha tracciato sulla tela l’urlo del loro dolore deformandoli volontariamente per imporli ai sordi e ciechi del tempo.

La Versilia storica non possiede darsene ed è alla moda, qui sono nata, non ho conosciuto miseria, ma ti ho capito comunque tanto che la mia tesi all’Accademia di Belle Arti di Firenze l’ho scritta su di te.

Ciò che ho scoperto scartabellando tra i tuoi scritti e manoscritti è stato un mondo di sofferenza ma anche di tanto amore che a suo tempo non è stato capito come avresti meritato. Tu per me sei il primo pittore moderno della storia e un poeta nel vero senso della parola. Avrei voluto conoscerti, ma siamo nati in due secoli diversi. 

La Tati

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