
Nel mio percorso artistico sono stata affascinata dalla “neuroestetica”. Questa è una scienza giovane che ha avuto il suo fondatore in Semir Zeki, professore di neurologia presso lo University College di Londra che, intorno alla metà degli anni Novanta, tenta di rispondere a queste domande
A che cosa serve l’arte? Che cosa vuole comunicare un artista? Il “senso del bello” è oggettivo o soggettivo?
Aldilà delle mode mentali, se si sa scavare, il piacere dato dalla bellezza è un’esigenza dell’anima. Per fortuna sembra che anche la scienza o meglio la “neuroestetica”, insieme agli esperimenti legati ai “neuroni specchio “ scoperti dall’equipe di Rizzolatti, dia ragione a ciò che intuitivamente si sapeva già e cioè che il brutto fa male e il bello fa bene. Il campo apre orizzonti affascinanti ed ho scelto questo binomio Arte e Scienza o meglio Mito e Scienza, perché ho intravisto una strada che potrebbe portare ad una attualizzazione e riscoperta del valore del simbolo con l’autorità di una disciplina scientifica contemporanea.
Il colore, così come le forme, inclinano a certi stati d’animo ed operano dei cambiamenti più o meno forti a seconda della nostra attenzione: da qui l’importanza del simbolo e della meditazione su di esso che da sempre hanno accompagnato il lavoro di qualunque cercatore della Verità.
La ”neuroestetica” sembra aver scoperto che la visione di un quadro produce in noi un sistema di accensione di certe zone cerebrali sopratutto se ci colpisce da un punto di vista emotivo. In un certo senso viviamo in prima persona ciò che vediamo e questo può avvenire anche in modo inconsapevole secondo Gallese (dell’equipe di Rizzolatti): “la risposta della mente al capolavoro artistico è mediata da una sorta di profonda immedesimazione (cognitiva, emotiva e motoria) con l’opera d’arte, un’immedesimazione resa possibile dal meccanismo dei neuroni specchio..”
Quindi oggi, che nell’arte riscontriamo una tendenza al brutto, al volgare e al dissacrante espresso con un forte impatto emozionale, immaginiamoci quale riflesso si può produrre in noi. Credo sia per questo che l’amante del bello rifiuta tutto questo e vive come violenza e disturbo una certa arte contemporanea, ribellandosi in modo “sano”e prendendo la giusta distanza da quelle espressioni artistiche spesso frutto di patologie mentali. Basta leggere dei testi di neuroestetica come quello di Chiara Cappelletto “L’Arte del cervello” per rendersene conto.
Uno degli scopi dell’arte invece dovrebbe essere quello di aiutare a convibrare con i piani più elevati del cosmo, affinché sia l’artista che il fruitore delle opere possano sperimentare un’elevazione. Un quadro dovrebbe contenere dei valori simbolici per aiutarci a meditare su quei contenuti ontologici che nelle varie epoche hanno accompagnato il cammino spirituale.
Il discorso diventa complesso perché occorrerebbe parlare anche di Etica. Forse proprio oggi, che la trasgressione è ormai la norma, si potrà portare un rinnovamento nell’arte riscoprendo, con nuova mentalità, valori contrari al pensiero nichilista.
Questa è la ragione del mio manifesto che ho chiamato “Utopia tra Mito e Scienza”. Utopia, non perché tutto questo sia irrealizzabile, ma perché indice di un “non ancora” che precede sempre un’ idea che va contro il pensare comune. Ciò che oggi sembra un mio sogno, sono convinta che domani, quando molti altri lo condivideranno, si potrà realizzare.
Già si incontrano dei segni qua e là a testimonianza che qualcosa si sta muovendo anche all’interno del sistema dell’arte contemporanea. Per un’obiettività dei fatti credo che quest’arte, che ormai sta imperando da più di un secolo con i suoi ready made, abbia il suo valore nel farsi specchio, come è sempre stato, della società che la produce.
Oggi che a livello di massa l’uomo sembra aver perduto l’orientamento, cerca nell’idolatria dell’oggetto e nelle trasgressioni più assurde quell’eccitazione malsana che riempie il suo vuoto, arrivando nell’arte, quando va bene, “alla trasfigurazione del banale ”come dice il famoso critico d’arte Arthur Danto.
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