Un racconto, due autrici insieme nella scrittura e nella vita: benvenute Tatiana e Mariarosa nel mio Salotto!

Tatiana Foschini, 41 anni.

È insegnante e autrice del romanzo “Un viaggio attraverso le note dell’anima” edito da Europa Edizioni 2017, opera premiata e menzionata per merito in prestigiosi premi nazionali ed internazionali, nonché autrice di pubblicazioni nelle antologie “Silocco 2017” e “Verrà il mattino e avrà il tuo verso”, entrambe pubblicate da Aletti Editore. Amministra inoltre la pagina Facebook “Cieli D’Istanti. Venti D’Istinti”. Non ricorda un momento in cui la sua esistenza abbia passeggiato senza l’arte a fianco: potevano essere un microfono, una chitarra, una reflex, una penna a far diventare respiro un’emozione. La stessa determinazione che l’ha portata a cercare la sua strada, ora la sta conducendo al mare, dove germoglierà il seme del secondo romanzo da scrivere con la coautrice che ha scelto per la vita.

Mariarosa Rao, 41 anni.

È nata con una penna immaginaria in mano. Ancora incapace di scrivere, già produceva testi che i suoi genitori annotavano per lei e trovava nel mondo dei libri che le venivano letti e del teatro la sua fonte di entusiasmo ed ispirazione. Di origini calabresi, ha indirizzato la sua professione all’avvocatura e mediazione familiare, vivendo a Roma in cui si è formata, Zurigo e Milano in cui ha lavorato per diversi anni, senza rinunciare al suo legame con le parole impresse che sono diventate il filo conduttore con cui congiunge ogni esperienza. Scrive per Gruppoanchise.it, educare.it e Voglio Vivere Così Magazine. È  blogger di Nelmezzodelcammino.over-blog e Mediatorefamiliare.over-blog. Attualmente vive a Torino dove è sempre più dedicata alla scrittura progettando di farla divenire la sua unica professione.

La Ninfa dagli occhi Verdi

Era solita passeggiare scalza tra i pensieri distratti della gente che incontrava.
Ne sapeva cogliere le sfumature più impercettibili, dalla piega delle ciglia o dal nodo disordinato delle scarpe. Alle volte bastava anche uno sguardo apparentemente assente e tutto si faceva chiaro e trasparente tra le nuvole del suo volto ubriaco di malinconia.
Non si reputava migliore di altri, la sua autostima sfiorava appena la soglia della sufficienza. Sentiva tuttavia, nei momenti in cui la timidezza non le impediva di riconoscerselo, di aver ricevuto un dono: leggere dentro le persone. Sapeva farlo giungendo in quel luogo nascosto in cui l’occhio umano raramente approda, a volte per semplice distrazione, più spesso per mancanza di buona volontà.
Ciò che non riusciva a comprendere, tuttavia, era la sua incapacità di guardarsi dentro o meglio, di cercare la soluzione ad un fittissimo male interiore che mai abbandonava le sue tempie, lasciandole una perenne astenia unita ad un continuo intorpidimento dei sensi.
Avrebbe di gran lunga preferito avere una risposta buona per se stessa piuttosto che per gli altri, ma non le riusciva proprio, per quanto si sforzasse, di trovarla. Con il tempo questa sua necessità si attenuò sotto il fluido della rassegnazione, fino a venire completamente meno. Poi, un giorno, incontrò due occhi verdi dentro il cui labirinto rimase prigioniera, pur sentendo che vi fosse contenuta la chiave di tutte le sue risposte e della libertà. Il giorno stesso, tra gli scaffali polverosi della biblioteca che più amava, scovò
un passaggio di letteratura antica che impresse un segno indelebile nella sua mente. Lo scritto recitava così:
“Narra la leggenda che un giovane cacciatore, cercando ristoro sulle rive del Lago della Ninfa, vide
apparirgli una fanciulla bellissima, che lo fissava con i suoi grandi occhi verdi. Il ragazzo rimase
abbagliato della giovane e se ne innamorò subito, ma ella scomparve come fosse turbata ed
impaurita.
Il giovane chiese allora informazioni ai carbona i del luogo, sull’identità della misteriosa ragazza, ma
questi, impallidendo per lo sgomento, gli suggerirono di tenersi lontano da lei, poiché altri non era che una creatura malefica. Il cacciatore però non volle dare loro credito e tornò ripetutamente al
lago, avvicinandosi alla fanciulla ogni giorno un po’ di più e riuscendo, infine, a dichiararle il suo
amore. La fanciulla allora, che pure ricambiava l’amore di lui, usò la sua magia per creare un ponte
di cristallo. Mentre il ragazzo lo attraversava, pe r quella precaria condizione che è l’amore, giunto a
metà del percorso, crollò sulle acque gelide. Il giovane morì. Da allora, nei giorni in cui la pioggia
più esile attende di coprire la luce sgusciando via dalla coltre bianca e rada di poche nubi,
guardando il cielo che si specchia nel lago, si possono scorgervi fluttuare due nuvolette vicine.”

Lesse tutto d’un fiato e ne concluse di non essere una cacciatrice, non era nemmeno una ninfa e non possedeva poteri magici. Così, decise di non parlare ad alcuno del suo amore per quegli occhi che le avevano rapito il cuore. Per quanto a volte la sua gola si riempisse di grida inespresse desiderose di giungere al destinatario di quel tumultuoso battito incostante, tacque sempre.
Da quando si era smarrita in quel verde che non aveva corrispondenza alcuna sui colori che la terra del giorno offriva alla vista, continuò a cercarli, senza sosta e con affanno. Li cercò nei volti della gente che assorta e sbiadita le passava accanto, nelle lacrime incustodite che il vento le portava, nell’incespicare lento dei distrattamente curiosi che tengono sempre il naso all’insù.
Non trovandoli però in alcun posto, decise infine di affidarsi alla Luna, al suo illuminare lieve capace di rendere visibile ciò che il Sole, coi suoi raggi accesi, era solito distorcere o abbagliare al punto da renderlo invisibile.
Non ebbe tuttavia fortuna, neppure nei suoi dialoghi notturni: la sua vana ricerca tagliò come il filo di un rasoio i suoi anni più floridi. Terminata da un pezzo la gioventù, si ritrovò a far specchiare il suo viso nelle acque chete del fiume in cui, molto tempo prima, era solita immergersi nelle calde giornate estive. Si accorse così, con un senso di tenerezza e compassione per se stessa, che quegli occhi che tanto aveva cercato, erano rimasti incastrati nel riflesso dei suoi, avevano guardato il mondo insieme nutrendosi dello stupore di luoghi che i suoi tanti viaggi le avevano regalato, si erano consolati vedendo nascere un sorriso tra le lacrime di chi, come lei, non trovava pace da regalare ad un cuore tremante. Si sedette sulla riva del fiume, si guardò un’ultima volta e imparò a respirare quel giorno per tutte le volte che si era dimenticata di farlo. Scoprì così di aver investito una vita intera nella ricerca di se stessa e non dell’amore che credeva di aver perduto per sempre e imparò che, l’umana smania di possedere più di ciò cui si è destinati, è in grado, a volte, di bruciare intere esistenze. Quella sera, di ritorno a casa con le scarpe macchiate di fango e ripulite di v ita, abbracciò forte suo marito, guardandolo come non aveva fatto mai. Si sorprese nell’accorgersi che, quei grandi occhi su cui non aveva mai avuto il coraggio di soffermarsi, erano in effetti del colore dei prati a settembre.

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