
La vita è una sorpresa
CAPITOLO TERZO
Jack si risvegliò con ancora nelle orecchie il rumore dell’aereo che toccava violentemente terra e, aperti gli occhi, si guardò intorno notando subito il caos che lo circondava.
Bagagli sparsi un po’ dappertutto, persone che gemevano e si toccavano le ferite, il personale di bordo che cercava di rimettere un po’ d’ordine invitando tutti a controllare i danni subiti e che, contemporaneamente, si avviavano verso le uscite di sicurezza per sganciare gli scivoli di emergenza.
Alcuni passeggeri sembravano avere riportato danni maggiori forse a causa della posizione assunta durante l’impatto, forse a causa del posto occupato più o meno vicino alle parti deboli della struttura dell’aereo, forse chissà….. per mera sfortuna.
Jack si alzò, controllò di non aver riportato danni e si avviò a dare una mano all’equipaggio per aiutare chi non era in grado di alzarsi da solo.
Srotolati gli scivoli ad uno ad uno i passeggeri cominciarono ad abbandonare il velivolo e si ritrovarono in una radura sperduta circondata da una fitta vegetazione.
Un caldo soffocante li avvolse come un sudario e si ritrovarono con i vestiti inzuppati di sudore e appiccicati al corpo.
Jack osservò i passeggeri che scivolavano fuori dall’aereo e la gravità della situazione lo colpì come un pugno nello stomaco.
Non era mai stato un tipo particolarmente avventuroso e solo gli avvenimenti degli ultimi giorni lo avevano spinto in quello che gli sembrava più un sogno che la dura e concreta realtà.
Questo senso di smarrimento era acuito ancora di più dal fatto che durante il periodo di stordimento causato dall’impatto aveva fatto un sogno stranissimo in cui si vedeva come un normalissimo padre di famiglia con i soliti problemi quotidiani che si era addormentato accanto alla propria consorte.
Questo ricordo era ancora talmente presente nella sua mente da farlo dubitare su quale fosse l’effettiva realtà e quale il sogno.
Scuotendo violentemente il capo per schiarirsi le idee si calò nella difficile realtà che lo circondava e subito gli risuonarono nelle orecchie i lamenti dei feriti e i secchi ordini impartiti dall’equipaggio.
“Adunatevi il più lontano possibile dall’aereo” incitavano gli assistenti di volo “fino a quando il pilota non lo avrà messo in sicurezza”.
Jack si avvicinò ad una hostess e le chiese “Avete avuto il tempo di lanciare l’SOS?
Sapete dove ci troviamo esattamente? Abbiamo modo di chiedere i soccorsi?”
L’hostess, una ragazza giovanissima la cui bellezza era offuscata dai vestiti strappati in più punti e dalla preoccupazione che le trasformava i lineamenti, facendo coraggio più a se stessa che all’uomo, rispose “Non si preoccupi, signore, abbiamo già chiamato i soccorsi e sanno esattamente dove venirci a prendere si tratta solo di avere pazienza ed aspettare” Dal tono, dalle parole dette con troppa precipitazione Jack capì che la situazione era più grave di quanto sembrasse.
I più camminando, alcuni aiutati dagli altri passeggeri, alcuni letteralmente trascinati dall’equipaggio e dai volontari, tutti raggiunsero uno spazio a debita distanza dall’aereo e qui il capo degli assistenti di volo, con in mano l’elenco dei passeggeri, chiamò una sorta di appello che concluse con un lungo sospiro quando fu certo che tutti gli occupanti erano presenti.
Incominciò un coro di richieste che sommersero i membri dell’equipaggio:
“Abbiamo viveri?” “abbiamo medicinali?” “c’è un medico a bordo?” “quando arrivano i soccorsi?” e così via .
Gli assistenti cercavano di rispondere a tutte le domande con tranquillità per calmare gli animi ed incoraggiavano tutti e per tutti avevano parole di conforto.
All’improvviso si sentì una voce stentorea che, con tutta l’autorità di cui era capace, apostrofò i presenti dicendo: “Signori un guasto tecnico ai motori ci ha costretti ad un atterraggio di emergenza, non ci sono per fortuna feriti gravi, abbiamo intatte le scorte di viveri e ci sono medicinali per chi è ferito più seriamente, i soccorsi sono stati già chiamati ed abbiamo inviato la nostra esatta posizione prima dell’atterraggio. Per cui a breve arriveranno gli aiuti e gli elicotteri per riportarci tutti, sani e salvi, all’aeroporto più vicino.
State tranquilli, restate uniti, seguite le direttive degli assistenti e tutto si risolverà in breve tempo. Vi ringrazio per la vostra collaborazione.”
La dettagliata ed esauriente ricostruzione degli avvenimenti e la certezza che presto sarebbero arrivati i soccorsi ebbe un effetto calmante su tutti ed ognuno cercò di proiettarsi verso l’imminenza della salvezza.
I problemi più urgenti da affrontare erano le prime cure da prestare ai feriti, la predisposizione di un qualche rifugio nel caso in cui i soccorsi ritardassero e la verifica della quantità di viveri e medicinali a disposizione.
Jack si avvicinò alla ragazza di prima e “cosa posso fare per rendermi utile?” chiese “io sono illeso e posso aiutarvi con i feriti”.
La ragazza che aveva di certo bisogno di qualcuno che le infondesse coraggio lo ringraziò e gli indicò alcuni passeggeri che sembravano più malconci degli altri.
Jack che aveva tanta buona volontà ma nessuna esperienza medica, si avviò pronto a fare quanto in suo potere.
Per fortuna fra i passeggeri c’erano due infermieri che guidavano il lavoro degli assistenti e dei volontari dando indicazioni su come disinfettare una ferita o su come immobilizzare un arto apparentemente rotto.
Le cose che preoccupavano di più erano il caldo umido, appiccicoso, asfissiante che li circondava, ed i rumori, gli stridii, i versi che provenivano dalla fitta vegetazione che delimitava la radura come un muro impenetrabile.
Il rischio era che per quanto celeri fossero gli aiuti potevano non arrivare prima che facesse buio e quindi si doveva approntare un fuoco sia per riscaldarsi, le notti tropicali a volte hanno escursioni termiche notevoli, sia per tenere lontani eventuali animali.
Jack, con alcuni altri passeggeri, si affrettò a cercare della legna per il fuoco e qualcosa che potesse eventualmente servire da difesa, l’unica “arma” a bordo era infatti una pistola lancia razzi che doveva essere gelosamente custodita per guidare i soccorsi non appena avvistati.
Con mille difficoltà trovarono un po’ di legna secca e, accatastatala, accesero un fuoco attorno al quale si radunarono tutti i passeggeri cercando ognuno una posizione comoda per trascorrere il tempo che li separava dall’intervento dei soccorsi mentre gli assistenti di volo fornivano a tutti coperte, razioni alimentari e bevande.
Jack si accomodò appoggiandosi al tronco di un albero e piano piano al tepore del fuoco attorno al quale erano radunati lo fece appisolare.
Poi all’improvviso cadde la notte più nera il Sole era scomparso Jack si chiese cosa fosse successo e visioni bibliche apocalittiche l circondarono ed egli si ritrovò a pensa quanto ci sarebbe voluto perché mancasse l’ossigeno e quanto il freddo avrebbe impiegato a estinguere la vita sul pianeta.
CAPITOLO QUARTO
UHr si svegliò da un sonno profondo e si ritrovò stranamente coricato su un giaciglio di pelle e paglia mentre tutt’attorno a lui c’erano i suoi parenti e compagni di gruppo, c’era un fuoco al centro della caverna ancora acceso anche se sul punto di morire e la prima luce dell’alba penetrava dalla fessura aperta all’ingresso ostruito da un grande masso.
Uhr si stropicciò gli occhi e la dura e fredda realtà lo colpì come un macigno.
Aveva negli occhi ancora la calda e comoda casa in cui aveva sognato di trovarsi e covava ancora la speranza che quella fosse la realtà non questa.
Le grida del padre che lo incitava a prepararsi per la caccia giornaliera lo pungolarono e lo fecero svegliare del tutto così velocemente afferrò la sua lancia con la punta di ossidiana e uscì dalla caverna.
La forte luce del sole lo colpì come una cosa solida e così il paesaggio attorno con i cespugli e le piccole felci tipiche del paesaggio del Giurassico che erano così fitte da offrire si riparo contro gli animali pericolosi ma potevano anche rinchiuderti in una morsa mortale, per non parlare poi di alcune piante carnivore che ti lanciavano un veleno e ti tramortivano per avere il tempo di gustarti con calma.
Uhr cercò un riparo da cui osservare le prede che si sarebbero presentate e la sua attesa non fu molto lunga infatti un piccolo mammifero-roditore ottimo da mangiare si presentò presto al suo sguardo.
Uhr prese la mira con calma e lanciò l’arma colpendo in pieno l’animale.
Felice per aver concluso così presto la sua battuta di caccia Uhr si apprestava a raccogliere la preda quando l’improvviso apparire di un gigante di almeno 8 metri con una sfilza di denti lunghi e affilati lo fece retrocedere precipitosamente al riparo.
Il gigante afferrato l’animaletto lo ingoiò con un sol morso e poi con grande sgomento di Uhr rivolse la sua attenzione verso il ragazzo attratto dal suo odore.
La prima e spontanea reazione del ragazzo fu quella di scappare all’impazzata ma una leggera riflessione lo consigliò di strisciare nascosto fra le selci e cercare dell’acqua corrente per nascondere il suo odore.
Si ritrovò improvvisamente con i piedi in un corso d’acqua maleodorante e visi immerse completamente.
Come sperato il gigante perse le sue tracce e dopo qualche minuto di ricerca alla cieca rinunciò alla caccia e così Uhr potè riemergere e tornare alla sua caverna dove raccontò la sua avventura fra grugniti e gesti alle donne che preparavano il pranzo e accudivano i piccoli.
Poi ritrovato il coraggio uscì dalla caverna e si apprestava a ricominciare la caccia quando all’improvviso e senza preavviso la luce cessò di essere e tutto fu avvolto nella completa oscurità con il freddo che si faceva sempre più pungente.
Uhr non capiva cosa fosse accaduto ma sapeva che ci sarebbe voluto poco per morire se l’oscurità fosse perdurata per molto.
Comunque la si vedesse con la scienza con la religione o con la superstizione l’unica cosa certa era che tutto era destinato a finire.
CONCLUSIONE
Lo Scienziato ebbe subito sentore che qualcosa non andava.
Da dove venivano quelle idee, quei sentimenti che sfrecciavano nella mente delle sue creature.
Ma com’era possibile: ognuno avrebbe dovuto vivere la sua realtà o parte dell’esperimento separatamente senza alcuna interferenza con gli altri né dagli altri; qualcosa non andava per il verso giusto.
Guardò con attenzione le scatole che contenevano ognuna una parte dell’esperimento in corso e vide con sorpresa che i soggetti iniziavano ad avere ognuno una sua vita relazionale autonoma e che questa in qualche modo non previsto interferiva con gli altri esperimenti.
Questa ingerenza vanificava la validità dell’esperimento che si basava sulla completa divisione di ogni singolo mondo dall’altro ma, evidentemente, la vita non era così facilmente controllabile e si sviluppava autonomamente.
Non rimaneva che una soluzione interrompere l’esperimento per riprenderlo con altre condizioni e con più garanzie di isolamento.
Lo Scienziato allora azzerò tutto distruggendo i tre mondi presenti distruggendo a calci le tre cassette che contenevano i tre esperimenti.
Jack, Giacomo ed Utir ebbero l’impressione che un enorme piede calasse dal cielo, la luce di quello che loro credevano fosse il sole si oscurò ed ognuno di essi pensò che il loro momento fosse arrivato.
I due più civilizzati Jack e Giacomo cominciarono a pensare a quanto tempo ci sarebbe voluto perché la vita si estinguesse con lo spegnersi del sole.
Certo avevano ancora qualche giorno di vita pensarono in quanto ci sarebbe voluto del tempo anche se già cominciava a sentirsi un gelo glaciale entrare nelle loro ossa.
Naturalmente tutto è relativo e quello che per lo scienziato era stato un attimo durò per loro il tempo necessario allo spegnersi graduale della vita.
Utir invece pensò subito all’ira di una qualche divinità che aveva deciso perché tutto fosse buio e freddo e morì non riuscendo a comprendere cosa fosse realmente successo. Ma comunque per tutti arrivò la “fine del mondo”.
LA VITA È UNA SORPRESA - PARTE 1 di Antonio Pennuto - Tatiana Levi
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