Tutti conosciamo Lorenzo Viani come grandioso e coraggioso pittore, in grado di coinvolgere la vista e l’anima con il suo tratto potente e i suoi soggetti a volte disturbanti. Ma non molti sanno che Lorenzo Viani fu artista completo, e dunque anche scrittore. Utilizzò le parole proprio come i suoi colori; racconta uno dei suoi più cari amici, Kramer, che nell’ultima abitazione in cui visse, a Lido di Camaiore, era attorniato da vocabolari, ossessionato dalle parole e dal loro potere oscuro. È una prosa, la sua, che procede per immagini e diventa essa stessa immagine. Una prosa anarchica come fu lui.
Voglio qui riportare un passo de Le chiavi nel pozzo, un testo sui malati di mente, i “pazzi di Magliano” (quelli di cui narrò anche Mario Tobino in molte delle sue opere).
Le chiavi nel pozzo
Una notte io ed un amico eravamo alloggiati all’Osteria del Belvedere: una scarpata della ferrovia, dei palielettrici, una viottola, un cancello ed un casellante schematico si potevano vedere da una finestra. La sera, al tavolone comune, capitarono tre ospiti, uno di loro erculeo, ma anemico, con occhi sfolgoranti e astratti fu messo capotavola; gli altri due erano ai lati come giudei: uno di loro aveva la barba riccia e il naso a roncola e gli occhi tutti turbati; l’altro, calvo, meningitico, colla pelle cascante, osservava malfidato il capotavola. Il capotavola comandava i due a bacchetta: pane, carne, vino. Il terzetto era: due guardie travestite che accompagnavano un pazzo al manicomio. La notte, il «Belvedere» fu occupato da un silenzio di catacomba, noi rivelti sui sacconi di foglie di granturco, si dormiva come papi; ogni tanto il treno tremotava sulla linea; poi il silenzio si faceva più fondo. Il saliscendi dell’uscio di camera nostra fu alzato, e l’uscio percosse la parete; niente temenza di ladri! Si fece la mezza e ci si rivoltò dall’altra parte. Una voce di mago rintronò la stanza:
– Essere o non essere. – Il pazzo s’era alzato, aveva sceso le scale in puntali, e penetrato nella nostra camera declamava estatico: – Essere o non essere. – Noi si stette zitti e cheti come due ragazzi.
– Laerte, Orazio: essere o non essere.
Le due guardie avevano ruzzolato le scale in camicia ed erano saltate sull’uomo il quale ruggiva: – Amleto, essere o non essere, – e con ogni pugno dipingeva nel muro una guardia.
Tutto l’albergo si buttò sul forsennato e fu legato con un canapo. Mentre lo soppesavano per riportarlo in camera egli vagellava: –Meglio un oceano d’armi sulla carne il flagello dell’essere disprezzato dalla morte del sogno, vilipeso col ferro della tomba superba, affrontarli e finirli. – Il pazzo sudava come una colossale spugna, l’ossame scricchiolava, il canapo gli recideva la carne – Essere o non essere, an, an, an – ed abboccava come un cane arrabbiato.
Quando il pazzo fu messo rivelto sul letto, gli furono applicate delle pezze molli d’acqua gelata sul capo bollente; a poco a poco egli cadde in uno stato semi-stuporoso e parvero arrestarsi i psicomotorii. Dopo cascò come slacciato sulle coltri: allora fu sciolto. L’uomo dalla barba riccia scioglieva il braccio sinistro del pazzo; il meningitico pelato scioglieva il destro. Quando il pazzo ebbe liberate le braccia, intorpidite dall’arresto della circolazione, ne allungò una lentamente sul cranio del meningitico e declamò melanconico: – Ohimè, povero Yorick!
Lorenzo Viani, da Le Chiavi nel Pozzo